Non c’è pace tra gli ulivi è un film del 1950 diretto da Giuseppe De Santis, uno dei grandi maestri del neorealismo italiano. Ambientato nelle campagne del Lazio subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, racconta la storia di Francesco Dominici, ex soldato che torna al suo paese e scopre che la sua famiglia è stata privata del bestiame e della terra da Egidio, un potente latifondista senza scrupoli.
Quando cerca giustizia, si rende conto che le autorità locali sono corrotte e dalla parte dei più forti, lasciandogli solo una scelta: fuggire sulle montagne e diventare un fuorilegge. Francesco però non è solo in questa battaglia. Ama Lucia, una giovane donna desiderata anche da Egidio, che la costringe a sposarlo contro la sua volontà.
La storia d’amore tra Francesco e Lucia diventa un simbolo di resistenza in un mondo dominato dalla violenza e dall’ingiustizia.
Mentre Francesco lotta per riavere ciò che gli è stato tolto, la tensione cresce e il conflitto con Egidio si trasforma in una resa dei conti inevitabile.
Il film affronta tematiche tipiche del neorealismo come la lotta di classe, la corruzione del potere, l’oppressione delle donne e il difficile ritorno alla normalità dopo la guerra.
La vendetta diventa per Francesco l’unico mezzo per ottenere giustizia in una società che protegge i più forti e schiaccia i più deboli. Lucia, invece, incarna la condizione femminile dell’epoca, costretta a sottostare a decisioni prese dagli uomini senza poter scegliere il proprio destino.
Dal punto di vista stilistico, De Santis unisce realismo e melodramma, creando un film visivamente potente e narrativamente avvincente e, a differenza di altri registi neorealisti che puntavano a un racconto sobrio e documentaristico, lui inserisce elementi di tensione e azione, rendendo la storia più dinamica.
La fotografia di Otello Martelli contribuisce a creare un’atmosfera cupa e drammatica, mentre la colonna sonora di Goffredo Petrassi amplifica l’emotività delle scene più intense.
All’uscita il film suscitò opinioni contrastanti: alcuni critici lo accusarono di essere troppo melodrammatico e distante dal neorealismo puro, mentre altri ne apprezzarono la forza visiva e la denuncia sociale.
Con il tempo è stato rivalutato e oggi è considerato un’opera fondamentale del neorealismo contadino, capace di raccontare con crudezza e passione un periodo storico segnato da ingiustizie e conflitti.