di Beatrice Silenzi

“Se hai bisogno di chiedere cos’è il jazz, non lo saprai mai.” chiosava Louis Armstrong.

Sì. Interrogativi pochi.

Ti piace? Lo ami. Lo detesti? Lo odi. Non ci sono vie di mezzo. Bianco o nero. Il grigio non è contemplato. 

E dire Jazz può significare anche parlare di  Hot Jazz o di Cool Jazz, facendo riferimento a due approcci differenti, uniti dal comune denominatore di un genere che non ammette il grigio, appunto. 

L’Hot Jazz spesso associato a quello tradizionale, ha avuto origine nei primi decenni del XX secolo. 

Uno stile caratterizzato da vivacità, ritmo ed energia, con un’enfasi sull’improvvisazione e l’espressività individuale dei musicisti.

Solitamente suonato da grandi orchestre o band, in cui gli strumenti a fiato, come la tromba e il clarinetto, si distinguono per le loro improvvisazioni virtuose, l’hot jazz ha contribuito a creare le basi di un genere musicale che ha influenzato molti, molti artisti.

Il Cool Jazz descrive invece il jazz moderno che ha avuto origine negli anni ’40 e ’50.

Rispetto al primo, si caratterizza per un suono più rilassato, morbido e sottile, con arrangiamenti sofisticati e un’attenzione mirata alla tonalità e alla struttura armonica.

È lo stile proprio di Miles Davis, Chet Baker e Gerry Mulligan, che hanno contribuito a ridefinire il suono del jazz nel periodo post-bebop.

E siccome il jazz è vario ed in continua evoluzione, oltre a questa prima distinzione di stili, non possono non essere menzionati anche il bebop, il free jazz e il fusion, varietà che rende questo un genere musicale vibrante e in continua trasformazione.