Il cast è stellare: Spencer Tracy, Sidney Poitier, Katherine Hepburn, ma “Indovina chi viene a cena?” è soprattutto un film che consente un’intelligente riflessione sul pregiudizio e sulla necessità di superare le barriere sociali per abbracciare amore ed uguaglianza.
La trama ruota attorno alla coppia di mezza età formata da Matt e Christina Drayton (Spencer Tracy e Katherine Hepburn, uniti anche nella vita) che si ritrovano a dover affrontare un momento cruciale: la figlia, Joey (Katharine Houghton), torna a casa con una sorpresa, ha trovato l’amore in un uomo di colore, il dottor John Prentice (Sidney Poitier) e intende sposarlo.
La notizia scatena una serie di reazioni e conflitti all’interno della famiglia, che mettono alla prova le loro radicate convinzioni e fondati valori.
“Indovina chi viene a cena?” parla del tema del razzismo con intelligenza e sensibilità, affrontando paure e reazioni contrastanti e mettendo in risalto la complessità delle dinamiche familiari e sociali legate alla razza.
La bellezza del film risiede nelle performances straordinarie degli attori principali. Tracy regala un’interpretazione memorabile nel suo ultimo ruolo cinematografico. Matt è un uomo profondamente contraddittorio ma desideroso di superare i suoi pregiudizi.
La Hepburn, nel ruolo di Christina, è un’ancora di sostegno per il marito, dimostra forza e determinazione, mentre Poitier, icona del cinema afroamericano, è toccante e potente nel ruolo del dottor Prentice.
La peculiarità è nel fatto che la pellicola sfida gli spettatori a confrontarsi con i propri pregiudizi, ad abbracciare l’amore incondizionato, l’uguaglianza tra le persone e questo messaggio ha avuto un impatto sociale assai significativo sulla cultura dell’epoca, spingendo molti a riflettere sulla discriminazione e a lottare in favore dei diritti civili.
La regia di Stanley Kramer è sobria ma efficace: viene posto l’accento sulle dinamiche emotive, sulle tensioni tra i personaggi, al punto che il film è diventato un punto di riferimento importante per il cinema statunitense degli anni ’60, non solo per la sua qualità artistica, ma anche per il suo coraggio nel trattare un argomento così controverso in un’epoca di grandi cambiamenti sociali.