di Beatrice Silenzi

Il Cotton Club è uno dei locali più rappresentativi nella storia del jazz e della cultura afroamericana degli anni Venti.

Situato a New York, rappresentava una tappa fondamentale per molti artisti e musicisti di colore in cerca di fama e successo e, nel contesto sociale dell’epoca, caratterizzato dalla segregazione razziale, il locale era riservato esclusivamente al pubblico di razza bianca.

Nonostante ciò, il club era rinomato per la sua straordinaria programmazione di spettacoli di danza e cabaret, ambientati in un’immaginaria “Africa selvaggia”, rappresentazione esotica e stereotipata assai popolare all’epoca, che tratteggiava l’idea di un mondo lontano e misterioso.

Quello che faceva davvero del Cotton Club un’istituzione erano, tuttavia, le straordinarie orchestre composte da musicisti neri.

Questi artisti, tra cui alcune delle più importanti figure del jazz dell’epoca, come Duke Ellington, Cab Calloway e Fletcher Henderson, erano la colonna sonora degli spettacoli del club.

Le esibizioni erano un trionfo di energia, virtuosismo e creatività musicale.
I musicisti eseguivano brani originali e arrangiamenti elaborati, combinando elementi di jazz, blues e musica popolare.

Le loro performance coinvolgevano “soli” di strumenti, intricati intrecci di melodie e ritmi irresistibili e vibranti capaci di creare un’atmosfera di festa.

Nonostante il contesto segregazionista dell’epoca, dunque, proprio il Cotton Club rappresentava un compromesso, offrendo un’opportunità a molti musicisti neri di guadagnarsi da vivere, esibendosi.