di Beatrice Silenzi

Da sempre Brian Eno, compositore,  sostiene che gran parte della produzione musicale è opera di “non musicisti”, cioè di artisti privi di preparazione classica e spesso incapaci di leggere un pentagramma.

Non è nemmeno più ovvio distinguere tra ricerca e pratica musicale, cosa che sembra confermare una previsione già formulata dallo stesso Eno negli anni Ottanta.

Rispetto alle prime sperimentazioni elettroacustiche degli anni Cinquanta e Sessanta, lo sviluppo delle tecnologie ha provocato cambiamenti profondi.

L’elaborazione del suono non è più appannaggio di pochi, ma è accessibile potenzialmente a tutti, purché abbiano un buon computer!

Il controllo sul materiale sonoro, considerato un tempo il discrimine tra le composizioni semplicistiche e quelle rigorose, è affidato alla competenza informatica invece che al bagaglio dato da una preparazione accademica.

Tuttavia, più che con le possibilità e i limiti del mezzo informatico, è necessario confrontarsi con un mutamento di paradigma che coinvolge tutti i parametri della musica: dalla creazione all’esecuzione, all’ascolto.

L’idea che la musica possa evolvere in modo progressivo, esplorando via via nuovi territori ed allontanandosi dall’eredità da cui proviene per oltrepassarla, esprime un modello di comprensione ormai inadeguato per il tempo in cui viviamo.

Oggi il panorama musicale è saturo.

Il repertorio è immenso: possiamo ascoltare nello stesso giorno un canto siberiano, un mottetto fiammingo, un’aria d’opera di un compositore minore del Settecento, una registrazione rara di Miles Davis, un pezzo rock e un movimento di una sinfonia di Anton Bruckner!

Fino a cinquant’anni fa, la musica si concepiva secondo un asse diacronico: ogni compositore si confrontava con l’opera delle generazioni precedenti e procedeva a ricostruire la genealogia del proprio linguaggio.

Attualmente, domina la verticalità dell’ascolto, con la totale compresenza e pari legittimità delle epoche e degli stili.

In questo contesto, il concetto di progresso musicale non ha più ragion d’essere e, di conseguenza, scompare anche la nozione di avanguardia che, da sempre, fa riferimento alla linearità di un processo storico percorso da alcuni artisti, anticipando i tempi e indicando i futuri sviluppi musicali.

La sperimentazione e la ricerca musicale sono state, nel corso del Novecento, simbioticamente legate ai movimenti d’avanguardia, sembra che con il tramonto di quest’ultima sia venuto meno anche il bisogno di una musica di ricerca tout-court.

Il concetto stesso di ricerca musicale si è allargato, assumendo forme diverse, spaziando dalla manipolazione elettronica alla fusione di generi e stili, all’integrazione di elementi multiculturali e persino all’utilizzo di suoni ambientali o di rumori.

L’orizzonte di ricerca musicale è diventato più ampio e sfumato, privo di confini definiti.

L’evoluzione delle tecnologie ha reso possibile una varietà di approcci creativi che abbracciano eclettismo ed influenze.