di Beatrice Silenzi

Girare un film che ricostruisce un evento storico recente è un compito arduo, eppure Alan J. Pakula ci è riuscito e “Tutti gli uomini del presidente” è, attualmente, un capolavoro che supera il test del tempo.

Uscito nel 1976, soli quattro anni dopo lo scandalo Watergate, il thriller narra l’inchiesta rivoluzionaria – condotta dai giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein – che ha portato alla scoperta dei reati commessi dalla Casa Bianca.

Nonostante oggi si ritiene di avere una conoscenza più approfondita dello scandalo, la pellicola continua a mantenere inalterata una sottile tensione, consolidandosi come un’opera cinematografica ansiogena, rappresentativa del giornalismo investigativo.

Uno dei punti di forza del film risiede nelle straordinarie interpretazioni di Robert Redford e Dustin Hoffman nei ruoli principali: il primo, con charme ed eleganza, incarna perfettamente il contraltare di Hoffman, che sprigiona un’energia nervosa e determinazione.

La loro chimica sullo schermo è palpabile. Ogni attività giornalistica sembra trasformata: anche il semplice rispondere al telefono.
Momenti di suspense non mancano e la loro interpretazione conferisce al film una profondità che si mescola perfettamente con la trama avvincente.

Ecco perché “Tutti gli uomini del presidente” non è solo un film sullo scandalo Watergate, ma rappresenta uno dei pilastri del cinema degli anni ’70, con quell’atmosfera densa di paranoia e sospetto, che riflette il clima politico e sociale dell’epoca e con i rischi e le sfide affrontate dai giornalisti che hanno messo in discussione il potere politico.

“Tutti gli uomini del presidente” celebra il giornalismo investigativo, mettendo in risalto l’importanza del lavoro di squadra, dell’integrità e della perseveranza, nonché il ruolo cruciale dei media nel garantire la trasparenza e la responsabilità del potere politico.